Critica: MARTA BREUNING

Non è facile rappresentare i moti dell’anima. Leonardo lo ha fatto con sapienza dipingendo nelle pose e nei volti delle sue dame un vero e proprio vocabolario di espressioni in cui si possono leggere stadi diversi di consapevolezza di sé, di comprensione della realtà, di conoscenza delle verità nascoste. L’anima è una identità psichica soggetta alla metamorfosi attivata dalla percezione delle sensazioni, alle quali l’essere umano, e la donna in particolare, desidera offrire dei significati, oppure delle motivazioni valide per il tempo presente. La ricerca di Antonietta si muove sulla stessa lunghezza psicologica dei grandi artisti del rinascimento e diventa, con il passare del tempo, sempre più concreta, profonda e abile nel decodificare stadi si passaggio esistenziale o di trasformazione critica delle emozioni in comprensione razionale dei rapporti umani. In ogni sguardo delle sue bellissime donne si intravede il segno dell’autocoscienza femminile capace di indagare il mondo dei sentimenti e di sperimentare, per quanto possibile nella attuale società che assimila la donna a oggetto estetico, l’autodeterminazione, spesso interpretata dagli uomini come velleitaria aggressività. Non è priva di sostanza concettuale l’immagine del corpo femminile privo di volto che emerge da un sfondo rosso, a sottolineare il potere inconscio della donna di trasmettere l’Eros da cui potrebbe avere origine, secondo la mitologia, il desiderio di conoscere non solo l’anima delle donne (le ninfe), ma anche la loro mente intuitiva (le dee dell’Olimpo).

É in questo duplice aspetto di affermazione della coscienza femminile (il volto frontale) o di negazione dell’identità più profonda (il volto che non si vede, oppure nascosto dai capelli), che l’artista vuole comunicare il gioco di luce e di ombre che la coscienza dell’osservatore può instaurare con i molteplici aspetti della mente femminile. I pensieri delle donne, rappresentati da volti che non sorridono, ma da sguardi che sembrano andare oltre l’oggettiva superficie delle cose, non si soffermano più all’interno, come raffigurato nel Rinascimento dallo sguardo introspettivo della Vergine Maria, ma accarezzano sogni, speranze e desideri in cui è possibile intravedere la millenaria ricerca dell’anima di amore, felicità e conoscenza.

Critico: MARTA BREUNING 
in “EIKON” n.10 Vicenza, ottobre 2010

“Una luce negli occhi”

I corpi sinuosi ed eleganti di alcune figure femminili si alternano agli sguardi rapiti, concentrati in lontani pensieri. I colori sono lievi, morbidi e trasparenti anche nel momento in cui si rapprendono nei più decisi bianchi e neri. Il disegno è curato, le proporzioni sono interpretate con gusto ed attenzione. Nella pittura di Antonietta Meneghini c’è dunque un rapporto diretto con i canoni della rappresentazione riconoscibile, con l’approfondimento razionale della forma umana nello spazio, con il giusto dosaggio delle luci e delle ombre che avvolgono le protagoniste. Il senso dell’armonia e dello studio anatomico si uniscono mirabilmente nello stile di un’autrice che ama il disegno nelle variabili compositive più “classiche”. L’intensità del soggetto nelle sembianze estetiche sembra essere il punto di approfondimento, apparentemente il filo conduttore di un percorso coerente sul tema della bellezza. Poi nella graduale lettura dell’immagine raccolgo l’espressione dei volti, spesso malinconica, che nell’ombra chiaroscurale si adombra di lievi inquetitudini. Ed è nella magia di quell’attimo che l’autrice rivela la sua poetica: oltre la parvenza esteriore si coglie infatti un’analisi puntuale sull’universo femminile, uno scavo psicologico portato in profondità sino a cogliere i lati più oscuri della donna contemporanea. La ricerca procede, quindi, verso la trattazione realista della donna e insieme avvolge ogni soggetto di una materia impalpabile e sognante: si ha l’impressione che in ogni carattere sia dato respiro al silenzio della riflessione. E’ quindi un mondo emotivamente coinvolgente quello proposto, fatto di piccoli gesti, di transiti fuggevoli, di atmosfere pacate colte nel lieve scarto di un sussulto.

Anche tecnicamente Antonietta Meneghini si affida ad una espressione contemplativa: il segno si modifica nella struttura per farsi sciolto, meno convenzionale, più personale. Il gesto consapevole fa muovere il profilo della figura in modo da cogliere l’empito di un’emozione, l’improvviso trasalimento nel volto o nella posa raccolta; affiorano di conseguenza leggerezza e morbidezza quando appare soprattutto lo sguardo fuggevole, la timidezza ed il riserbo nell’esprimere la propria interiorità. Il contenuto diventa chiaro, la pittrice riscopre la bellezza e l’intensità delle emozioni più pure, va oltre l’involucro del visibile e rivela l’essenza, la trasfigurazione spirituale dell’animo. Antonietta Meneghini coglie la luce nascosta nel profondo delle sue protagoniste, quel bagliore che unisce i vari tasselli dell’anima.

Critico: GABRIELLA NIERO 
Vicenza, dicembre 2010

Critica: MARIA LUISA FERRAGUTI 

Il volto femminile nel richiamo sfolgorante della sua bellezza può permettere ad Antonietta Meneghini di approfondire la ricerca dei sentimenti. Si trova nei visi un senso di mistero, di riflessione, che traspare nel passaggio da una tela all’altra attraverso una materia cromatica distesa con sicurezza e precisione. I volti, emergenti su sfondo monocromatico, in risalto del primo piano, vivono di una luce, che li idealizza. Meneghini pare insegua il pensiero di George Simmel, che pone nel suo saggio di filosofia d’arte dedicato a Rembrandt la differenza tra “bellezza” e “perfezione” e prosegue nel considerare la tradizione squisitamente italiana quando afferma: «Il mondo classico italiano aderisce a un obbligo della bellezza», definito invece, sempre da Simmel, qualità della “perfezione”.

Così, alla scelta delle sue protagoniste, all’abilità di lavorare con sicurezza nel taglio dell’immagine, alla ricerca della posa, Meneghini unisce la nota di silenzio nel dito sulla bocca, fissa la gestualità, coglie la pensosità nello sguardo abbassato, esalta la femminilità nel dettaglio di una spallina rinforzando di volta in volta, attraverso le immagini, il richiamo dello sguardo su volti dalla bellezza davvero disarmante. La galleria dei personaggi declinati quasi tutti in bianco e nero e dedicata, per lo più, al mondo femminile è questo, oppure Meneghini nel passaggio rapido tra fotografia e pittura introduce unicamente e con leggerezza, al vasto mondo dell’apparire? 

Critico: MARIA LUISA FERRAGUTI 
in La Domenica di Vicenza, dicembre 2010 

“Libertà”

Suntuosa, affascinante Meneghini, senza tema di sminuirsi riprende temi accademici, sempre olio su tela. Vi immette un tocco di sana follia celando, ogni opera, sempre significati reconditi, come il ciclo La vita in maschera. In questa piccola-grande metafora della vita, nel primo step il volto è mascherato, nel secondo si intravedono solo gli occhi, nel terzo si vede tutto il corpo mentre i comprimari rimangono mascherati. Notevole pure Pudore, ragazza che copre il seno, Infedeltà, sul grembo la rosa gialla del tradimento, ma non si vede il capo, quindi atto fisico e non mentale.

Critico: FABIO BIANCHI
Piacenza, Gennaio 2012

Critica: PROF. ALBERTO D’ATANASIO

Meneghini Antonietta con una tecnica che evidenzia una volontà interiore, che è più tipica del poeta che del pittore, vuole unire la bellezza del pensiero con quella che suscita un’immagine. Quest’artista sente l’incanto della malinconia come se ora si trovasse a vivere in un pianeta in cui si sente aliena. Il suo mondo è fatto di ricordi che si spostano nel presente e si dilatano nel futuro con la forza dei colori e dell’energia che solo chi fa arte conosce. Così una giovane donna si toglie una maschera, non per far vedere il vero volto, la maschera non nasconde mai, piuttosto rivela e in questo caso rivela gli occhi più che prima col volto coperto perchè è lì, ci dice Antonietta Meneghini, che l’anima parla, legge e lancia la sua voce perchè si oda sopra l’afonia di questi tempi.

Critico: PROF. ALBERTO D’ATANASIO semiologo e storico dell’arte
Venezia, Marzo 2011

Mostra “Eclecticartcollection”

Antonietta è andata oltre. Antonietta ha raggiunto una personale terza dimensione. Quei volti che restavano racchiusi, limitati a ciò che si vedeva e che anche in opere più recenti ancora si vedono, hanno trovato nuova espressione. La nuova dimensione apre alla fantasia, al vedere dietro, al vedere oltre. L’immaginario spersonalizza l’autore e personalizza l’osservatore. Le trasparenze sono l’immaginario. Le trasparenze dettano la nuova dimensione. Dietro le trasparenze ci sono i volti, c’è la bravura della pittura di Antonietta, ma c’è l’imprevedibile fantasticheria di chi guarda ed andando oltre le trasparenze si immerge nel proprio mondo. Io ho guardato, ho riguardato, ho memorizzato. Non è semplice esprimere le sensazioni generate da questa nuova Antonietta. Mi sono aggirato per le stanze dove lavora. È proprio luogo di creazione. Odori buoni, quelli di colori. Ti senti bene e dove ci si sente bene si potrà ottenere solo cose buone. So che si dovrebbe incontrare anche la soddisfazione, so che ci sono tanti tipi di soddisfazione, e tra questi c’è ne uno che non deve mancare: “la soddisfazione di creare”. Dissi una volta che è dono il saper creare, aggiungendo subito dopo che creare è anche sacrificio, ma come Minerva uscì dal cervello di Giove ed a Giove passò il mal di testa, così quella parte del creare che si chiama sacrificio è quella che da lustro al nostro operare. I volti di Antonietta Meneghini, quei volti usciti dal cervello, approdati su tele con colori spesso impropri, ma belli anche in questa improprietà. Volti che nella evoluzione pittorica si affacciano da meravigliose trasparenze. La capacità di non ripetersi, di dire sempre cose nuove come un interminabile ruscello di limpide acque trasparenti, gioiosamente trasparenti. Antonietta trova così spazi, spazi per se e spazi per chi guarda. Poi Antonietta trova tra la realtà e l’immaginario, un nuovo tratto epistemologico.

Maschere che vivono tra il greco Odeon e la Commedia dell’Arte. Maschere! Perchè maschere? L’uomo ha sempre cercato una dimensione diversa, l’uomo ha sempre cercato nell’aspetto una realtà che quasi sempre era immaginazione. La virtualità che spesso, molto spesso naufraga nella realtà. Il ciberfilosofo Baudrillard voleva spiegare che niente si può spiegare quando si voglia separare il reale dal virtuale, quando si voglia definire un tratto ben preciso ed inequivocabile di separazione. La pittura, quella pittura di Antonietta si presenta come una interpretazione di un sommo pensiero filosofico, l’uomo e la maschera, l’uomo e le maschere, la realtà ed il desiderio. Sono certo che l’osservatore, anche se non particolarmente attento, si fermerà ad ogni quadro. Prima lo guarderà da lontano, poi si avvicinerà come attratto da un convincimento e da un impagabile frenesia. Sono i particolari che generano l’opera, è l’insieme che fa esaltare i particolari. È gioia, la gioia di Antonietta, felice, felicissima di esserci, felicissima di esprimersi in un mondo che niente ha a che fare con l’umana quotidianità. Antonietta, da un mondo di lavoro, da un mondo di sport, alla fantasticheria. Provateci! Provateci con lei! Anche solo col pensiero.

Critico: UMBERTO RIVA
Marostica, Dicembre 2012